Negli ultimi due anni la cronaca si è occupata ripetutamente della vicenda delle concessioni balneari e la politica ha fornito le più svariate soluzioni, non potendo però prescindere dall’adeguamento alla normativa determinata dalla nota Direttiva Bolkestein, la quale stabilisce che in caso di numero limitato di autorizzazioni, per una determinata attività di servizi, si debba procedere con una
procedura di selezione imparziale e trasparente (ergo: una gara d’appalto) e poi, il pronunciamento del Consiglio di Stato, che determina la c.d. dead line al 31/12/2023, poi differita al 31/12/2024 dall’Art. 10 quater del D.L. 198/2023 (1) (cd. Milleproroghe) convertito in L. 14/2023 per la messa a gara delle concessioni, a meno di una riforma strutturale del settore delle concessioni demaniali, in ottemperanza alle norme europee.
E’ bene ricordare che la Bolkestein (2) stabilisce che in caso di numero limitato di autorizzazioni per una determinata attività di servizi (in essa ricade senza alcun dubbio l’attività delle aziende balneari), si debba procedere con una selezione imparziale e trasparente.
E’ opportuno richiamare, altresì, il D.L. recante l’attuazione della delega d cui all’ art. 2, L.118 del 05/08/2022, per la mappatura e la trasparenza dei regimi concessori di beni pubblici quale utile strumento per la misurazione del valore del bene pubblico, nel caso di specie per l’esatta quantificazione del valore di ciascuna azienda balneare.
Nonostante negli anni le varie sentenze italiane ed europee, tra le quali occorre segnalare quella della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 2016, nonché la doppia del Consiglio di Stato del 2021, abbiano fatto chiarezza in materia, l’attuale maggioranza politica è ancora convinta di trovare una soluzione, provando a dimostrare che manca un presupposto fondamentale per l’applicazione della Bolkestein, quello della scarsità della risorsa “spiaggia” e, pertanto, tutto dovrebbe restare come prima , senza la messa a gara delle concessioni.
Qualora questo presupposto potesse essere dimostrato, la Direttiva non sarebbe applicata poiché l’oggetto della concessione non risulterebbe limitato dalla scarsità delle risorse (spiagge), sarebbe invece dimostrata la loro abbondanza, stanti gli 8.000 km di coste che caratterizzano il territorio italiano.
Questa, appare, ictu oculi, una interpretazione forzata poiché tutte le sentenze e le varie procedure di infrazione hanno ribadito che la Direttiva sarebbe applicabile solo qualora risultasse, per tabulas, la scarsità della “materia prima” e tale dimostrazione, allo stato, appare difficile da realizzare.
Tali pronunciamenti hanno dichiarato illegittimo il rinnovo automatico delle concessioni, indicando la “gara” quale unica via percorribile ed accettata dall’Europa ed il Consiglio di Stato ha fornito indicazioni temporali tassative.
Tali valutazioni si scontrano inoltre con la mancanza del tempo idoneo per far valere tali ragioni, poiché entro cinque mesi l’esecutivo dovrebbe conseguire il risultato di mappare le spiagge e realizzare una riforma convincente, tale da disattivare l’operatività dei pronunciamenti su descritti, circostanza difficile da realizzarsi, nonostante l’attivazione della procedura.
Tanto premesso e delineato, i gestori di stabilimenti balneari, già per le ragioni innanzi esposte incerti per il loro futuro aziendale, devono, loro malgrado, registrare anche una incomprensibile discriminazione, quella afferente il proprio trattamento fiscale rispetto ad attività similari.
Infatti, all’esito della nota istanza di interpello (3) all’Agenzia delle Entrate, che ha meritato la risposta n. 360/2021, le c.d. “marinerie” hanno ottenuto un fondamentale chiarimento, quello di essere assoggettate per la maggior parte della loro attività all’iva agevolata del 10%, anziché a quella ordinaria del 22%.
Vantaggio di non poco conto, in quanto il risparmio del 12%, quale differenziale tra le due aliquote, avvantaggia le marinerie rispetto ai gestori di stabilimenti balneari, rendendo peraltro commercialmente più competitivi i loro servizi.
In buona sostanza, l’Agenzia delle Entrate, a norma dell’art. 32 c.1, del D.L. n. 133 del 2014, ha previsto la riconducibilità dei MARINA RESORT (4) nell’ambito delle strutture ricettive all’aria aperta.
Successivamente, la L. 190 (Legge di stabilità 2015 e la successiva L. n. 208, meglio nota come Legge di stabilità 2016), ne hanno permesso l’applicabilità sino alle ultime modifiche normative, stabilendo che dal 01/01/2016, le strutture organizzate per la sosta ed il pernottamento di turisti all’interno delle proprie unità da diporto ormeggiate nello specchio acqueo appositamente attrezzato, rientrano nella strutture ricettive all’aria aperta. Le successive fonti normative hanno indicato i requisiti minimi che i c.d. “marina resort” devono possedere per essere considerati “strutture ricettive all’aria aperta”. Tali strutture devono essere: idonee a consentire l’ormeggio in sicurezza ad un numero di unità da diporto non inferiore a sette e dotate di specifici impianti, servizi ed attrezzature.
La qualificazione dei “marina resort”, alla stregua di strutture ricettive all’aria aperta, comporta la possibilità di applicare alle prestazioni rese ai diportisti ivi alloggiati, l’aliquota ridotta del 10%, di fatto equiparandoli alle strutture alberghiere.
L’Agenzia delle Entrate ha altresì ritenuto che l’aliquota i.v.a. trovi applicazione in relazione ai contratti stipulati dai “marina resort” per la sosta ed il pernottamento di diportisti all’interno delle proprie unità da diporto ivi ormeggiate, in virtù della modifica apportata dall’art. 1, c598 L. n. 178/2020, e ciò indipendentemente dal tipo di contratto, sia esso stagionale, annuale o pluriennale.
Per l’Agenzia resta, invece, soggetta all’aliquota ordinaria del 22%, la locazione di spazi di ormeggio per le imbarcazioni. La stessa Agenzia ha chiarito che per i “marina resort”, sono da considerarsi agevolati ai fini i.v.a. non solo i servizi di accoglienza e messa a disposizione dello specchio acqueo per il pernottamento dei diportisti a bordo delle proprie imbarcazioni, ma anche i servizi “accessori”, quali i servizi di pulizia, di assistenza all’ormeggio, di prenotazione, di vigilanza, di sicurezza e di addebito dei consumi.
A parere dello scrivente, l’Agenzia delle Entrate dovrebbe però essere investita, attraverso lo strumento dell’interpello, di una problematica neppure troppo sottile, generata da una semplice domanda: perché gli stessi servizi, quali la pulizia dell’arenile, il posizionamento e sistemazione degli ombrelloni, la prenotazione dei servizi in spiaggia, la vigilanza dello specchio acqueo e dell’arenile, il salvataggio e l’addebito dei consumi, non è consentita alle aziende balneari l’applicazione dell’i.v.a. agevolata al 10% anziché al 22%?
Nella considerazione che non vi è divieto di analogia giuridica per la materia tributaria, a differenza di quella penale, resta difficile comprendere il perché possa sussistere una tale discriminazione ad evidente similitudine dei servizi resi.
Nel caso di specie, infatti, si realizza una palese violazione delle norme costituzionali di cui agli artt. 3, 53 e 92 della Costituzione, ma soprattutto sarebbe urgente ed opportuno interpellare l’Agenzia delle Entrate, cercando di ottenere un pronunciamento favorevole, oppure sollevare la questione in merito all’incostituzionalità delle norme che prevedono tale discriminazione.
(1) La sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI n.2912 del 01.03.2023 richiama i principi già enunciati nelle sentenze dell’adunanza plenaria n.17 e 18 del 2021 con le quali, in coerenza con l’orientamento in materia espresso dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sancisce che le disposizioni legislative nazionali che hanno disposto la proroga automatica delle concessioni non debbono essere applicate perché in contrasto con l’art 12 della direttiva europea 2006/123/CE; il dovere di disapplicare la norma interna in contrasto con quella comunitaria , per pacifico orientamento giurisprudenziale, riguarda sia i giudici che la Pubblica Amministrazione.
(2) La Direttiva 2006/123/CE, meglio nota come Direttiva Bolkestein, è stata presentata dalla Commissione Europea nel Febbraio 2004 ed emanata nel 2006. La summenzionata disposizione, recepita dal Governo Berlusconi nel 2010, concerne il libero mercato dei servizi ed ha lo scopo di garantire la loro libera circolazione, elidendo le barriere normative fra i vari Paesi. L’obiettivo della direttiva è la semplificazione delle procedure burocratiche al fine di consentire il temporaneo esercizio di un’attività all’interno del territorio di un Paese UE, eliminando discriminazioni che si basano sulla nazionalità degli operatori.
(3) L’interpello è uno strumento concesso dal legislatore che consente al contribuente di presentare, prima di un comportamento fiscalmente rilevante, un’istanza all’Agenzia delle Entrate al fine di ottenere chiarimenti in merito all’interpretazione, all’applicazione o alla disapplicazione di norme di legge di varia natura relative a tributi erariali.
(4) L’Associazione Assonat che rappresenta i titolari di porti turistici, con l’interpello all’Agenzia delle Entrate ha rappresentato di essere tenuta a corrispondere l’Iva agevolata al 10%, anziché al 22% stante la tipologia dei servizi prestati. Ne è conseguito il pronunciamento n. 956/62/2021 in cui l’Agenzia ha affermato che i marina resort sono agevolabili, ai fini Iva al 10%, non solo per i servizi di accoglienza e messa a disposizione del porto turistico dello specchio d’acqua per il pernottamento dei diportisti a bordo delle propri imbarcazioni, ma anche per i servizi accessori quali i servizi di pulizia, di assistenza all’ormeggio e di sosta degli stessi. L’aliquota Iva agevolata al 10% , anche se si tratta di concessioni demaniali quali porti turistici, in precedenza era applicata solo per attività di tipo turistico come gli alberghi, i campeggi ed i villaggi turistici.
Avv. Prof. Guerrino Petillo
Docente di diritto tributario
Segretario Generale Università
UNISRITA